Bolivia - Tiwanacu
Tiwanaku fu uno dei centri più importanti dell'America pre-ispanica. Fu il primo impero andino, paragonabile, per forza ed estensione, a quello Inca, che sarebbe sorto secoli più tardi.
Il nome di Tiwanaku (o Tiahuanaco) è un nome Quechua, che fu dato alla città dagli Incas agli inizi del XV secolo. Quale sia stato il vero nome di questa importantissima città non si sa. Tiwanaku significa "la città di Dio". Gli studiosi hanno azzardato che la città potesse chiamarsi Taypikala, "la pietra nel mezzo", oppure Phoukara, "Luce splendente del Sole".
Quando gli Incas, guidati dall'imperatore Pachacutec, giunsero a Tiwanaku per la prima volta, ne rimasero attoniti dalla sua grandezza e dallo splendore delle sue costruzioni. Questo portò, ovviamente, ad un fiorire di leggende sulla fondazione della città e su chi l'avesse abitata per primo. Eppure, malgrado tutto, all'epoca Inca restavano solo poche, scarne, rovine del grande centro cerimoniale. A cosa fu dovuta la sua fine, rimane un enigma. La città venne sconvolta da un cataclisma potentissimo, che sbriciolò i palazzi e ridusse i templi, le strade le piazze ad un cimitero. Tutto fu seppellito sotto una coltre di fango che, in alcuni punti, raggiunse lo spessore di 21 metri. Il lago Titicaca, che anticamente bagnava il centro cerimoniale, si ritrasse per 28 chilometri nell'entroterra.Tiwanaku risorse dalle sue ceneri, ma rimase un piccolo villaggio limitato all'antica zona portuale. Poi crollò definitivamente, per ragioni non ancora chiare.
Agli inizi del Novecento, l'ingegnere austriaco Arthur Posnansky intraprese per primo scavi scientifici a Tiwanaku. Giunse alla conclusione che la città doveva risalire a 17.000 anni prima di Cristo e per questo fu molto criticato. Ma fu, sicuramente, il primo a dare un'idea di quello che doveva essere, anticamente, questo importantissimo sito archeologico. Egli concentrò gli scavi in una zona dove si trovava uno dei più grandi templi di Tiwanaku e ne portò alla luce le fondamenta. La costruzione era di forma rettangolare, di 126 x 117 metri, dotata di un monumentale portale di accesso in blocchi di arenaria rossa. L'interno era scandito da pilastri monolitici di adesite, alcuni dei quali alti oltre 7 metri, oggi pesantemente erosi. Il tempio è conosciuto come Kalasasaya, il tempio dei pilastri.Negli anni Sessanta, però, una serie di malaugurati restauri sconvolse l'originaria, diruta bellezza del Kalasasaya. Alla fine l'intera spianata del tempio fu colmata di terra perchè somigliasse ad una tozza piramide tronca, ed oggi non è possibile vedere più quei pilastri che tanto imporessionarono Posnansky.
Tuttavia il tempio custodisce ancora alcune delle più straordinarie opere d'arte litica dell'antica Tiwanaku. In uno degli angoli della costruzione si trova quello ritenuto il più celebre monumento dell'intero continente americano: la porta del sole di Tiwanaku. Essa, un tempo, faceva parte di una facciata scandita da una successione di portali monolitici e da un unico fregio continuo. Il fronte della porta mostra, al centro, un'enigmatica figura recante uno scettro in ciascuna mano, circondata da una teoria di figure alate più piccole, alcune con volti umani, altre con teste d'aquila e a loro volta recanti scettri nelle mani che sembrano tutte correre e convergere verso la grande figura centrale.
Una delle teorie più accreditate è che questo complicato fregio sia un calendario relativo alle fasi di Venere. Il viso centrale, circondato da raggi e solcato da lacrime d'oro, è molto nota nel mondo andino ed è chiamata con il nome di "Dio degli scettri" o "Dio piangente". E' ritratto inginocchiato sopra una piramide a tre livelli in cui è raffigurata una stana più piccola dalla quale si dipartono sette passaggi in tutto somiglianti a fiumi o canali per l'acqua.
L'intero sottosuolo di Tiwanaku sembra solcato da un labirinto inestricabile di tubazioni, canalette e condutture, al punto che molti studiosi hanno ipotizato una funzione rituale piuttosto che pratica.Poco lontano dalla Porta del Sole sorge una scultura chiamata El fraile. E' una figura umana che reca in mano due oggetti e che sembra guardare chiunque lo osservi.
Un'altra figura umana si trova di fronte all'ingresso principale del Kalasasaya. Reca due oggetti in ciascuna mano ed ha un'elaborata corona sul capo. L'intera superficie del monolito è ricoperta di glifi simili a quelli che si trovano sulla Porte del Sole e reca la stessa scena con il Dio piangente al centro. Queste figure sembra che abbiano avuto una funzione apotropaica, forse erano guardiani del sito.
Di fronte al Kalasasaya vi è un'ampia piazza sprofondata che presenta su ognuna delle quattro pareti una impressionante successione di teste umane ed animali, 48 su ciascun lato. Malgrado l'usura delle figure, in esse si distinguono ancora i profili di dignitari stranieri, lama, puma, giaguari e pesci. La sacralità di questo spazio è testimoniata dalla presenza di numerose stele poste al suo centro, la più famosa delle quali è il cosiddetto "monolito barbado" o Kon Tiki, una figura umana barbuta circondata da diversi simboli tra i quali serpenti e giaguari. Molti hanno speculato su questa figura, anzi, sulla barba di questa figura poichè i popoli indigeni dell'America meridionale non possiedono barba.
(fonte : http://oltrelanotte.splinder.com/post/19823352/Tiwanaku+(1) )
Un manoscritto pubblicato dal figlio diceva
"in 1873, durante i miei scavi nelle rovine di Troia a Hissarlik, quando messi al giorno, nel secondo strato, lo celebro tesoro di Priam, io scoprirono sotto questo tesoro un vaso di bronzo di una forma particolare.
Questo vaso conteneva alcune tessons d'argilla, diversi piccoli oggetti in metallo, delle valute e degli oggetti pétrifiés, in osso. Molti di questi oggetti ed il vaso di bronzo portavano un'iscrizione in hiéroglyphes fenici. L'iscrizione era: Del re Chronos di Atlantide. "
Un documento segnato della lettera B diceva:
"in 1883, vivo al museo del Louvre una raccolta di oggetti che provengono da scavi effettuati al Tiahuanaku nell'America centrale (si tratta di Tiahuanaco in Bolivia, n.d. l.r.). Vi osservai tessons di terraglie esattamente della stessa fattura e della stessa materia, ed anche degli oggetti in ossa pétrifiés assolutamente simili a quelli che avevo trovato nel vaso di bronzo del tesoro di Priam.
La rassomiglianza di queste due serie di oggetti non poteva essere implicata a caso. I vasi dell'America centrale non comportavano una scrittura fenicia né di altre iscrizioni. Mi affrettai di esaminare nuovamente i miei esemplari personali e fui convinto che le iscrizioni tracciate da una mano straniera erano più recenti degli oggetti stessi.
Essendomiprocuratomi alcuni frammenti che provengono da Tiahuanaku, io loro sottoposti ad un esame chimico e microscopico. Quest'esame stabilisce innegabilmente che le due serie di terraglie, tanto quelle di America centrale che quelle di Troia, fossero dello stesso tipo particolare d'argilla che non si trova né nell'ex Fenicia né nell'America centrale.
L'analisi degli oggetti stabilisce che il metallo fosse composto da platino, d'alluminio e di rame, lega che non si trova da nessuna parte fra le vestigia del passato e che è sconosciuta attualmente. Arrivai dunque a concludere che quest'oggetti che provengono da due regioni così distanti una dell'altro era fatta della stessa sostanza ed aveva certamente la stessa origine. Ma gli oggetti stessi non sono né fenici, né mycéniens, né americani. Cosa occorre -il pensarne?
Cosa precedentemente di uno stesso luogo d'origine, sono arrivato ai due posti diversi dove li sono trovati? L'iscrizione rilevata sui miei oggetti rivelava questo luogo d'origine: Atlantide.
Questa scoperta straordinaria lo incoraggiò a proseguire le mie ricerche con una nuova energia ".
Henry Schliemann